Teatro

SALISBURGO, Così fan tutte

SALISBURGO, Così fan tutte

Salzburg, Haus für Mozart, “Così fan tutte” di Wolfgang Amadeus Mozart GEOMETRIE AMOROSE SOTTO IPNOSI Dopo le Nozze di Figaro e il Don Giovanni, talmente apprezzati da diventare dei “cult” del Festival di Salisburgo della storia recente, Claus Guth conclude la trilogia con un “Così fan tutte” che, se pur meno ispirato, ne conferma il talento e la capacità di dirigere il gioco scenico e la recitazione,scavando nel testo con un’attualizzazione intelligente che rende evidente quella vena di amarezza che aleggia nella commedia mozartiana. Fedele allo spirito della trilogia ritroviamo elementi delle produzioni precedenti: analogamente all’Eros alato delle Nozze che innescava la vicenda, Don Alfonso è qui il Deus ex machina, angelo custode o Mefisto, un po’ voyeur un po’ playboy,che muove i personaggi come marionette, ipnotizzandoli e spingendoli all’azione accentuandone la caratteristica (peraltro presente nell’opera) di personaggi intercambiabili privi di individualità precisa. Ritorna anche il bosco del Don Giovanni che, progressivamente, invade il salotto per introdurre il tema della pulsione irrazionale che rompe gli equilibri sentimentali precostituiti e scatena dinamiche sensuali. L’interno di un’elegante villa contemporanea su tre livelli con una scala sospesa (citazione della scala attorno a cui ruotava l’azione nelle Nozze) è l’ambiente minimal-chic di Christian Schmidt giocato sui toni del bianco, dove sta per finire, con un suggestivo fermo-immagine che blocca l’azione trasformando tutti in manichini, il party di due sorelle “bene” molto cool e graziose in abito da cocktail fucsia e vermiglio e tacco 12 d’ordinanza. Fiordiligi e Dorabella, ancora euforiche e leggermente brille, si scambiano confidenze amorose accoccolate sul maxi divano, mentre nella parte superiore del loft vengono proiettati i filmini delle vacanze delle due coppie dal romanticismo un po’ stucchevole. A partire da qui Guth ci dimostra con grande naturalezza come si possa in un giorno cambiare amore e l’ambientazione contemporanea risulta efficace per ricordare come la nostra vita e i nostri amori abbiano ritmi sempre più veloci. La prima parte è ironica e leggera, mentre la seconda più drammatica lascia affiorare lati oscuri e il set immacolato viene contaminato dai pini e dal terriccio del giardino che invadono progressivamente la stanza, sporcando gli abiti dei protagonisti. Nella gioventù dorata ancora imbevuta di illusioni adolescenziali s’insinua un forte turbamento e a dispetto dell’happy end niente sarà più come prima, le nuove coppie subentreranno forse alle prime in un finale aperto e incompiuto dal retrogusto un po’ amaro. Ancora una volta Guth conquista per il gioco scenico complesso e curatissimo, i movimenti sono sincronizzati, spesso simmetrici e la scena su tre livelli favorisce la compresenza dei cantanti su piani separati, sfruttando tutte le potenzialità drammatiche. Con studiata naturalezza il regista traduce a livello visivo la geometria e la simmetricità delle combinazioni vocali ed esalta la consapevolezza dell’inganno, non a caso i due innamorati non si camuffano da albanesi, ma mettono davanti al viso maschere etniche incidentalmente staccate dalla parete o sfruttano abilmente le distanze per risultare meno riconoscibili. Despina si traveste quando non è previsto, scimmiottando le ricche padroncine di cui indossa l’intero guardaroba, ma non necessariamente quando vorrebbe la farsa per scardinare la commedia della dissimulazione. Il cast di giovani cantanti – attori, pur non presentando eccellenze vocali, è molto equilibrato e dimostra doti sceniche eccezionali, ma necessarie per far funzionare lo spettacolo. Le protagoniste sono due Barbie sorelle, una bionda l’altra bruna, dalla forte complicità e canto all’unisono. Miah Persson (Fiordiligi) si distingue per perfetta intonazione e capacità di risolvere tutti i registri con bei pianissimi e momenti di slancio dove la voce rifulge luminosa; emozionante e travagliato il suo “ Per pietà, ben mio, perdona” ben cesellato e carico di accenti. La Dorabella acerba e sensuale di Isabel Leonard incanta per lo sguardo da cerbiatta e dà prova di equilibrismo scenico e vocale cantando “Smanie implacabili “ in piedi su di un parapetto a sbalzo a parecchi metri di altezza. La voce è omogenea e piena, ma ancora priva di quella varietà di fraseggio da rendere tutte le sfumature del ruolo. Giovani, carini, fisicamente simili e intercambiabili senza bisogno di ricorrere al travestimento, i due innamorati. Topi Lehtipu ha voce piccola, ma musicalità eccellente, un ottimo Ferrando, mentre Johannes Weisser è un Guglielmo dalla voce baritonale leggera e poco caratterizzata. Bo Skovhus conferisce giusti accenti e carisma a un Alfonso manipolatore e disilluso che, grazie alle innegabili doti interpretative e sceniche, assurge a un ruolo protagonista. Patricia Petibon è una Despina istrionica, divertente e divertita, che, nonostante un’interpretazione folle e sopra le righe, risolve con grande tecnica e sicurezza tutte le variazioni aggiunte alla parte e le sue gags divertono il pubblico. I Wiener Philarmoniker, ascoltati la sera prima sotto la direzione di Muti con risultati superlativi, diretti da Adam Fischer offrono, nonostante l’innegabile bellezza del suono, un’esecuzione di routine priva di magia e dalle sonorità troppo forti. Direzione e regia sembrano seguire logiche diverse senza trovare un punto d’intesa con uno scollamento fra buca e palcoscenico. Il gioco scenico dei sei personaggi è talmente preponderante che il coro è “relegato” fuori scena e non condivide nemmeno gli applausi. Se pur privo delle idee forti che avevano caratterizzato le prime due opere della trilogia, lo spettacolo mantiene sempre alta l’attenzione di un pubblico entusiasta che riserva alla fine lunghissimi e calorosi applausi. Visto a Salzburg, Haus für Mozart, il 26 Agosto 2009 Ilaria Bellini